Il “Museo della Tortura e della Pena di Morte” è una grande esposizione che dispone di cinque Musei Permanenti (San Gimignano, Siena, Volterra, Lucca e Moltepulciano) sul suolo Italiano. Sebbene tra di essi gli strumenti e la documentaristica esposti varino molto, il “Museo della Tortura e della Pena di Morte” vuole sottolineare la sua natura di segnale, invito alla memoria e avvertimento affinché gli orrori del passato non si possano più ripetere; per questo, viene talvolta fatto un collegamento ad alcune parti del Mondo, sebbene civilizzato, direttamente interessate (vedasi, in seguito, l’esempio della Sedia Elettrica).
Il nostro Hotel a Volterra si trova a pochi minuti del museo ed è il luogo ideale per partire per un viaggio alla scoperta della Toscana.
Il Museo Permanente di Volterra, detto anche “Museo Criminale Medioevale” conserva la stessa funzione non solo documentaristica ma anche umanitaria e sociale, e nelle sue stanze, piccole ma di ampio respiro, mostra le più svariate tecniche della tortura medioevale, insieme a veri e propri strumenti di morte e documenti della Santa Inquisizione particolarmente rari.
Il Museo della Tortura si erge nel cuore della Volterra etrusca e in seguito medioevale, su Piazza XX Settembre, su cui si affaccia. Accompagnato da sottofondi immersivi e ambientazioni ben ricostruite, questo Museo è apprezzato dalla pletora accademica non solo per le sue spiegazioni chiare e valide, ma anche e soprattutto per gli strumenti che annovera, unici al mondo. Non è necessario enfatizzare, infatti, attraverso ricostruzioni sanguinolente o orrifiche, il messaggio che reca il Museo stesso, poiché gli strumenti, in legno o metallo, silenziosi pilastri del passato, già testimoniano da soli. Forte è l’impatto sui visitatori, soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione mentale di quei momenti in chi ci passa accanto, lasciandoci frusciare la propria veste: il dolore di un oscuro e ignoto passato diventa subito immaginaria attualità contrita.
Il percorso entro il Museo della Tortura si snoda sotto archi di pietra allo scopo di richiamare l’ambientazione sotterranea, e si compone di un corridoio che si slarga dunque in un vano molto più ampio. Strumenti degni di nota sono subito la “Gabbia di ferro bipede”, appartenente al secolo XVII, e la “Gabbia di Impiccagione di Legno”, costruita tra il XVII e il XVIII; l’inserimento, in entrambe, di uno scheletro dalle gambe mozze all’altezza del ginocchio risulta suggestivo e impressionante e lascia che siano gli strumenti, dal puro materiale ferreo con cui sono stati costruiti, ad abbracciare il vero scopo per cui sono stati utilizzati.
Il “Collare Spinato”, inoltre, è uno degli strumenti più famosi a causa della sua stessa forma: munito di aculei su tutti i lati, serrava il collo della vittima con i suoi cinque chilogrammi. Il collasso letale era raggiunto in poco tempo, a causa dell’erosione fino alle ossa della carne del collo, la rottura progressiva delle ossa della mascella e delle spalle, la cancrena dilagante e, infine, l’erosione delle ossa denudate.
La “Sedia Inquisitoria” accoglie dunque i visitatori con la sua imponenza e il suo orrore: attrezzo fondamentale dell’inquisitore, egli vi introduceva a forza il torturato nudo, affinché le cinghie gli stringessero progressivamente le carni. L’interrogatorio veniva contemporaneamente eseguito sfruttando il dondolio della sedia stessa o con percosse direttamente sugli arti già feriti. Talvolta il pianale poteva anche essere ardente per mezzo di carboni o fiaccola. È sicuramente un triste ma efficace il parallelo moderno di affiancare la “Sedia Inquisitoria” alle sedie elettriche di oggi.
La “Vergine di Norimberga”, inoltre, è uno degli strumenti che reca il nome della vasta ala che la contiene, insieme ad altri strumenti di tortura femminili (come la “Cintura di Castità” o il “Flagello a catena”). La “Vergine di Norimberga” si rifà alle storie del sarcofago antropomorfo a due ante, che avevano origine prettamente egiziana, aggiungendo però al suo interno una fitta rete di aculei in modo da penetrare le carni della vittima una volta chiuse le due ante, nel corpo della vittima. Il nome “Norimberga” deriva dall’esempio più famoso, la “Vergine di Ferro”, distrutta nel 1944 dai bombardamenti. In realtà, solo in quel caso, è possibile che gli aculei fossero ricollocabili tra le ante o l’interno stesso del sarcofago, secondo come doveva essere punita la sfortunata vittima.
È di certo straziante pensare che tutte queste torture non si limitavano soltanto agli adulti: negli interni del Museo, intatti, c’è uno strumento dal nome “Cavallino Per Punizione”, utilizzato per frustare pesantemente i bambini legati sopra di esso, sfruttando un’immagine infantile e cara alla famiglia e al focolare domestico.
Le stanze e i vani si susseguono rapidamente in un’atmosfera tetra e cupa che accentua ancora di più l’inquietudine sussurrata dagli attrezzi di tortura.
Tutto sugli strumenti e sul Museo stesso, ma di cosa si parla quando si tratta di tortura?
http://www.torturemuseum.it/la-mostra/ . Chiamata “Il Volto peggiore dell’uomo”
dal Museo della Tortura e della Pena di Morte, era già presente in abbondanza nell’antichità e presso tutte le culture umane e si tratta quindi di “un metodo di coercizione fisica o psicologica, inflitta con il fine di punire o di estorcere delle informazioni o delle confessioni.”
Si origina però una duplice domanda morale: se tutti sono pronti a condannare e ripudiare la tortura in ogni sua giustificazione, teorica o ancora meno pratica, perché essa riappare continuamente tra le varie culture umane, cambiando forma, nome e motivazioni, tanto da parere che sia qualcosa di insito nella natura umana?
Sembrerebbe che la verità sia proprio quella dunque, poiché la sua condanna non regge come un fatto storico o antropologicamente delimitato a un luogo fisso. Più si va avanti con l’evoluzione, che sia essa politica o morale, più la tortura torna a galla, senza mai essere vinta, e non necessita ambienti socio-religiosi particolari.
E per questo, il “Il Volto peggiore dell’uomo“: deriva dal piacere per il dolore altrui, che caratterizza tutti gli esseri umani, stando anche allo storico detto “homo homini lupus” (“l’uomo è un lupo per l’uomo”, da Plauto, Asinaria, a. II, sc. IV, v. 495). Deriva dalla storia della malvagità umana.
Il Museo della Tortura di Volterra vale il suo ingresso anche e soprattutto per questo motivo: per prendere consapevolezza, per scontrarsi con il peggio che l’animo e la mente umana abbiano mai potuto architettare, e, infine, di riflettere a quello che ancora ci lega, oggi, a esso, passando dalla Sedia Elettrica già menzionata e per poi arrivare alla tortura contro le donne: se a esse nel Medioevo potevano venire rivolte le accuse più varie (dalla castità a pratiche di stregoneria), ancora oggi e in certe aree del mondo, infatti, gli strumenti sono cambiati ma mai estinti, e lapidazione o altre pratiche recano ancora l’orrore, doloroso, ciò che oggi lo spettatore può vedere in abbandonate lastre di ferro e di legno.