Tutto sull’Arte della lavorazione dell’alabastro di Volterra.

In provincia di Pisa e non lontana da Siena e Firenze, si colloca Volterra, gioiello che deve il suo splendore architettonico alle origini etrusche (“Velathri” era infatti chiamata) e ai reperti archeologici. Destinazione molto gettonata della regione Toscana, si conferma come meta prediletta soprattutto per le passeggiate all’interno della sua cinta muraria, ove è possibile ammirare le antiche botteghe artigiane dove vengono ancora lavorati oggetti in alabastro, materiale che rende famosa Volterra a livello internazionale.

L’alabastro: la sua connotazione magica

Quello che più caratteristica gli oggetti in alabastro è la loro irriproducibilità: nati dalla fusione di forme di arte e artigianato, infatti, portano con sé l’anima della mano che vi ha lasciato il proprio lavoro come memoria e come espressione della cultura di Volterra. La sua mutevolezza, continua e sottostante i vari punti di vista, è la vera componente magica di questo materiale, che si sfida con il suo stesso riflesso, varcato dalla luce ma che al tempo stesso la abbraccia.

L’estrazione

L’alabastro si trova in natura in blocchi definiti “arnioni”, inclusi in strati di gesso a una profondità che si aggira intorno alle poche centinaia di metri. Il materiale è sempre diverso per la distribuzione e la tonalità delle venature, ma anche per la trasparenza, che può essere maggiore o minore. In generale, ha durezza 2,5 secondo la scala di Mohs e per questo è necessario fare attenzione durante l’estrazione, che deve essere sempre manuale e circoscrivere il blocco.
L’alabastro si trova in due tipi, che corrispondono a due classi mineralogiche: l’Alabastro gessoso (o del Volterrano), e l’Alabastro calcareo (o Orientale).

La lavorazione: un lungo lavoro di perfezionamento

Materiale pregiato già per le sue componenti geologiche, lo è ancora di più grazie all’intervento dell’artigianato, tipicamente e tradizionalmente di Volterra, che riesce a valorizzare le sue eccezionali qualità di compattezza, trasparenza, venatura e vellutazione. Per operare in tal senso, la lavorazione si divide in cinque fasi: squadratura, tornitura, ornatura, scultura e finitura. Ciascuna di esse varia a seconda dell’oggetto finale che viene richiesto dalla bottega artigiana.

La squadratura

Con questa tecnica si intende lo “squadrare”, ossia ridurre il materiale a pezzi parallelepipedi o in forme generalmente ortogonali. A tal fine vengono utilizzate seghe che operano in senso orizzontale e le lastre vengono dunque tagliate con le dimensioni desiderate, ipoteticamente già delle dimensioni degli oggetti da creare. I controlli per ottenere squadratura perfette al millimetro e le rifilature stesse sono poi fatte con seghe a disco abrasivi. Direttamente sempre dentro la fase della squadratura appare anche la branca, minore, dell’alabastro, e cioé quella che concerne il mosaico, con diversi tipi di alabastro al colore naturale.

La tornitura

Come dice il nome stesso, questa fase prevede l’utilizzo del tornio, e quindi la preparazione dei blocchi, prima squadrati in forme parallelepipede, in cilindri da lavorare: questi verranno attaccati con un mastice, usato solo per l’alabardo e creato nella bottega stessa, all’asse del tornio. La lavorazione comincia nel momento in cui il materiale viene scavato con “rampini” appositi al fine di ottenere una prima bozza della forma desiderata. La carta abrasiva liscia il prodotto finale, che viene staccato dal tornio molto delicamente, poiché parti sottili o fragili potrebbero rompersi nella manovra.

L’ornatura

Quando si tratta di “ornato”, si riferisce all’incisione a bassorilievo o altorilievo dell’alabardo. Prima si decide il disegno che si vuole effettuare, poi lo si trasporta sulla pietra, selezionando i punti di riferimento salienti. “Scuffine” e “Ferri”, insieme a decine di altri arnesi particolari, sapranno effettuare scannellature e incisioni del tutto caratteristiche nella forma ottenuta dalla prima tornitura.

La scultura

Gli scultori sono coloro che più si ispirano al mondo umano e animale e alla loro riproduzione: visi, cavalli rampanti, busti sotto commissione e altro. Devono stare molto attenti a riprodurre con attenzione i minuti dettagli in questione, facendo a patto con le caratteristiche del blocco di alabastro. Modelli tridimensionali in gesso o pietra, come per gli scultori di qualsiasi altro materiale, sono qui imprescindibili.

La finitura

Questo passo è fondamentale perché porta fuori le trasparenze e le venature dell’alabastro, rendendolo anche vellutato al tocco. La finitura, originariamente fatta con la pelle di pescecane essiccata, era abrasiva al punto di togliere le ultime imperfezioni. Dopo il lavaggio del pezzo, infine, veniva lucidato e spalmato con della sostanza grassa e della cera bianca. Avvolto, infine, in panni di cotone, l’alabastro era finito quando passato sotto una delicatissima spazzola rotante.

La colorazione

Quest’ultimo passo prevede semplicemente lo sfruttamento della porosità dell’alabastro mediante pigmenti per le più varie gamme di colore.

 

L’alabastro: una storia ricca e sfaccettata

Usato dagli Etruschi per produrre urne cinerarie, l’alabastro vede la sua produzione già nell’VIII secolo. Mediante una tecnica perfezionata nel corso del tempo, gli Etruschi furono in grado di realizzare figure ricche di movimento, nonché di industrializzare l’intera produzione e provvedere a leggere colorazioni minerali. Le antiche escavazioni etrusche permangono significativamente nelle cave di Ulignano e Gesseri.

La produzione degli alabastri non scompare, naturalmente, con la decadenza etrusca ed etrusco-romana, ma rifiorisce durante il Medioevo e, soprattutto, nella metà del XVI secolo, dove importanti lavori a carattere religioso risplendono sotto il patrocinio della Chiesa e riportano in auge la sua piena caratteristica artistica. Questa si trasforma in una forma di sfruttamento mercantile di facile esecuzione durante il Seicento e il Settecento. Sorgono, invece, nell’Ottocento, le prime officine qualificate come vere fabbriche, con maestri dell’ornato e della decorazione chiamati a lavorare a Volterra e provenienti da tutta Italia.

La riproduzione di vasi greci ed etruschi, le sagome dei bronzi, i fregi e i candelieri acquista un nuovo ritmo, arricchendosi di pietre dure e abbracciando anche mosaici, soprammobili e decorazioni ad altorilievo. Da questo momento in poi, nel Novecento, l’alabastro si configura come materiale d’eccellenza per l’espressionismo manierato e retorico, con busti, visi femminili e pastorelle. Umberto Borgna, infine, è degno di note per essere stato il primo vero designer dell’alabastro, orientandosi verso uno studio pedissequo delle sue venature, tonalità e abbinamenti, aprendo le braccia al gusto moderno di vasi, orologi e lampade.